Nella primavera del 1986 gli scialpinisti del CAI di Sestri furono protagonisti di una non comune traversata scialpinistica “a staffetta” che, in un solo fine settimana, li portò a coprire l’intera traversata delle Alpi Marittime.
Ci dividemmo in più gruppi, ciascuno dei quali realizzò un tratto della traversata con pernottamento in un rifugio. Al compimento della propria tappa, ogni gruppo trovava la macchina di quello seguente e, grazie al preventivo scambio di chiavi, con essa ritornava al punto di incontro finale, fissato nel “solito” Bar di Borgo S.Dalmazzo.
Eravamo in tempi ante-cellulare, per cui le comunicazioni erano affidate ad un punto di riferimento telefonico (il custode dei Rifugi a Pontebernardo) al quale ogni gruppo doveva far giungere notizia di eventuali cambiamenti di programma.
Ecco l’elenco delle “tappe”
San Giacomo di Entracque – Rifugio Pagarì — Gelas — San Giacomo
San Giacomo di Entracque — Passo di Fenestrelle — Rifugio Genova — Passo di Brocan — Terme di Valdieri
Terme di Valdieri — Bassa del Druos — Isola 2000 (GTA) — Colle della Lombarda — Passo di Bravaria — Bagni di Vinadio
Bagni di Vinadio — Passo di Rostagno — Rifugio Zanotti — Tenibres — Passo di Scolettas — Rifugio Talarico — Passo di Stau — Bassa di Colombart — Vallo- ne del Puriac — Argentera
Argentera — Enciastraia — Vallone del Lausanier — Colle della Maddalena.
Tutto funzionò a dovere, anche se non mancò qualche problema tecnico (rottura di un attacco nel terzo gruppo, con prudente accorciamento della tappa dopo il colle della Lombarda). La domenica sera, al Bar di Borgo, gran festa e consegna degli artigianali portachiavi ricordo a tutti i partecipanti, mentre i gruppi lasciarono nei rifugi toccati un gagliardetto ricordo (ovviamente anch’esso artigianale).
Tra i partecipanti del secondo gruppo spiccava un giovane pieno di entusiasmo, che si era unito a noi dopo aver partecipato, come allievo, ad uno dei primi Corsi di introduzione all’alpinismo: Mauro Naticchi. Ragazzo fortissimo, coscienzioso, generoso, amante dello stare insieme, Mauro doveva purtroppo concludere, qualche estate dopo, la sua giovane vita durante una solitaria salita al Rosa per la cresta Signal.
A lui vorremmo dedicare il ricordo di questa traversata singolare, piena di amore per la vita e per la montagna.
M. Venzano (Cai Notizie-ottobre 2005)
Tra i Sestresi appassionati della Montagna, l’uso degli sci ha l’età della nostra Sottosezione, o poco più.
Infatti i primi “sky” furono introdotti un po’ furtivamente tra gli anni dieci e venti; mi hanno raccontato che quasi ci si vergognava di farsi vedere con quei lunghi legni, tanto da nasconderli mentre si aspettava il tramway partendo per una gita.
Ma la vergogna fu presto superata, i pionieri fecero proseliti e di anno in anno andò aumentando il numero dei Sestresi che, non appena una nevicata lo consentiva, partivano per i nostri monti attrezzati di sci. Per tutti gli anni venti ed oltre sciare volle dire salire a piedi, con gli sci in spalla o calzati; in questo caso veniva aumentata l’aderenza con spaghi sapientemente legati a salame attorno allo sci: le pelli di foca non si conoscevano o erano, comunque, cose da signori.
In discesa i più bravi disegnavano ampie curve sfoggiando una perfetta tecnica telemark, ma la “raspa” regnava sovrana, eterno rimedio ad ogni situazione difficile. Le mete classiche erano la Cappelletta, Mongrosso e Sale Langhe dove si trascorrevano intensissime giornate di molta salita e poca discesa, intramezzate da calda polenta offerta per modica spesa dai contadini del posto. Il discesismo assistito da impianti di risalita era ignorato (fatta eccezione per lo “slittone” di Limone).
Da subito però gli sci furono visti come mezzo per frequentare la montagna in inverno e, alle giornate di ripetuta salite e discese sulla stessa pista, si accompagnano programmi di più ampio respiro: il giro del Pavaglione, il Dente, il Mindino e poi tanti e tanti itinerari nelle ben innevate Alpi Liguri. Cosi si continuò negli anni trenta, con tecnica migliorata (discesa a slalom) e con mete più impegnative: ricordo come esempio che, per un Capodanno di quel periodo, un Gruppo Sestrese (credo il Dopolavoro San Giorgio) organizzò un soggiorno scialpinistico alla Balma, con salite al Mondolé ed alla Durand.
Chiedo scusa ai miei coetanei, ma non sarà male ricordare per i più giovani che allora Prato Nevoso ed Artesina non esistevano, che le strade carrozzabili finivano a Frabosa, e che di li si procedeva con sci e “pelli”, quelle di vera foca, che ormai avevano completamente soppiantato gli spaghi.
Il vecchio Ettore Allegro, lungimirante ideatore e realizzatore del Rifugio-AIbergo della Balma, ancora pochi anni fa ricordava con entusiasmo quel Soggiorno’, che certamente aveva contribuito non poco al lancio della stagione invernale de! suo Rifugio.
Ma nella seconda metà degli anni trenta le cose presero a cambiare molto rapidamente: su tutto l’arco alpino le funivie incominciarono a trasportare sempre più in alto un numero crescente di sciatori, alleviando molto la fatica e rendendo disponibili a tutti discese sempre più belle: lo sci si specializzò sempre più come attrezzo da discesa.
Alla ripresa dell’attività, nel dopoguerra, l’evoluzione era praticamente compiuta.
A parte i “fondisti”, che praticavano ormai da tempo una disciplina a sé, la specie dei “discesisti” si divide nettamente, in due sottospecie: “pistaioli” e “scialpinisti”. I primi, sfruttate le enormi possibilità offerte dai moderni impianti di risalita che erano sorti un pò dovunque e dotati di modernissimi attrezzi (sci “laminati”, attacchi ‘kandahar” e “di sicurezza”, scarponi “con i ganci”,…) si slanciarono nell’ebbrezza di un divertimento incantevole, deliziandosi del “cristiania” e dello “scodinzolo”, spesso allettati dall’aspetto agonistico che la disciplina aveva assunto.
Tutto ciò fece sì che questo sport ebbe sempre meno a che fare con la montagna e l’alpinismo, sino a raggiungere negli anni sessanta il culmine di questa espressione con lo “sci tutto l’anno” praticato sulla “pista verde in plastica” di Rapallo.
Quasi per reazione gli scialpinisti si arroccarono in posizioni di “conservazione”; l’attrezzatura rimase quella “anteguerra”, le diavolerie moderne furono viste con molta diffidenza, i mezzi di risalita furono considerati una “contaminazione” da evitare con cura.
Io, ad esempio, ho iniziato in questo clima e vi assicuro che fare progressi in discesa in quella maniera era assai arduo: lo scialpinismo era più che mai “il piacere della salita ed il dovere della discesa”.
Ma presto anche questo estremismo fu superato: gli amanti della montagna invernale con gli sci apprezzarono e sfruttarono tutti i vantaggi che il discesismo su pista può offrire, almeno come mezzo per acquisire tecnica indispensabile se si vuole puntare a certi traguardi.
Credo sia sintomatico il fatto che, oggi, tutte le Scuole di Scialpinismo accettano soltanto allievi che abbiano un livello più che buono di tecnica di discesa in pista.
Così, in qualche maniera, si è ritornati alle origini: negli anni venti gli sciatori delle piste di Mongrosso erano gli stessi che salivano al Mondolè; dagli anni sessanta in poi c’è un graduale e progressivo ritorno a questa situazione con una forte osmosi tra scialpinisti e pistaioli.
Nel frattempo materiale e tecnica di discesa da una parte e tecnica alpinistica dall’altra hanno compiuto enormi progressi e lo scialpinismo,cogliendone i vantaggi, consegue risultati impensabili quarant’anni prima.
Ma ritorniamo più direttamente alla nostra Sottosezione: cosa si può dire della situazione attuale? (1985- n.d.r.)
Il gruppo è numeroso, ricco di attività e, nonostante il carattere un po’ ribelle ad ogni forma di organizzazione, è affezionato alla nostra Sottosezione ed aperto a quanti cercano amicizia, compagnia e consigli per avvicinarsi a questa meravigliosa disciplina. Credo si possa essere moderatamente soddisfatti.
L’attività scialpinistica della nostra Sottosezione si estende su tutte le Alpi ed abbraccia un arco di tempo molto ampio (da novembre a giugno); le mete sono varie; la parola “alpinismo” è meno, abusata che in passato, ci sono state punte veramente notevoli.
A volte mi viene in mente di quando, venticinque o forse trenta anni fa, progettavamo le nostre gite in VaI Maudagna o al Garelli nella scalcinata Sede del vicolo e pensavamo alle “Hautes Routes” ed alle “Settimane” di Tony Gobbi come ad un sogno irraggiungibile.
Oggi, quelli che ad inizio stagione attaccavano le pelli per la prima volta, a maggio salgono con noi al Gran Paradiso…